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RECENSIONE: L'atroce storia di Santos Godino. El Petiso Orejudo (María Moreno)

Immagine del redattore: Dalla carta allo schermoDalla carta allo schermo

Aggiornamento: 3 giorni fa




Autore: María Moreno

Traduttore: Francesca Lazzarato

Editore: Edicola Ediciones, 2024

Pagine: 264

Genere: Narrativa straniera, Narrativa moderna e contemporanea, Biografie

Prezzo: € 20.00

Acquista: Libro


 

Trama

L’assassino adolescente Cayetano Santos Godino, il primo serial killer della storia argentina, rappresenta una delle figure più oscure e iconiche della criminologia. Su di lui e i suoi efferati delitti hanno indagato la polizia, la medicina legale, la psichiatria e la stampa senza trovare una risposta rassicurante al sottile limite tra disagio, follia e crimine. Oltre settanta anni dopo la sua morte, la giornalista, cronista e narratrice María Moreno, tra le voci più audaci del panorama latinoamericano, riapre il celebre caso per dar vita a un testo ipnotico, violento e travolgente, che trascende i limiti del true crime e diventa al tempo stesso una storia di immigrazione e miseria, un crudo reportage d’epoca e una riflessione sugli archetipi universali legati alla criminalità.


Recensione

L’opera di questa scrittrice è vasta e complessa. Essa si situa tra il giornalismo e una narrativa caratterizzata dalla fusione di generi diversi, dal saggio alla cronaca al romanzo, fino alla scrittura intima concentrata soprattutto in Black out in cui Moreno parla della sua storia, di un corpo sofferente e dell’alcolismo di cui si è spogliata come di un abito logoro, ma anche della fitta costellazione sociale e intellettuale di un’Argentina non così remota, eppure viva solo nella memoria.


In questo libro al confine fra cronaca, saggio e romanzo, l’autrice dona un posto ad un reietto leggendario, El Petiso Orejudo, alias Cayetano Santos Godino.


El Petiso, El Oreja o El Orejón, comunque lo si voglia chiamare, questo figlio di poverissimi immigrati calabresi è forse il criminale più misterioso e celebre della storia argentina.

El Petiso è diventato figura del folclore, modo di dire, icona, spauracchio, simbolo, e il suo mito fa così saldamente parte dell’immaginario nazionale da aver lasciato tracce nelle strade e nei musei di Ushuaia, dove statue e murales lo ricordano, nelle vignette di alcuni comics, sugli schermi, nei negozi che ad Halloween vendono la sua maschera, nelle pagine di libri-reportage e di trattati criminologici, o in quelle di romanzi e racconti.


Maria Moreno ha costruito intorno a lui un testo eterogeneo, in cui convivono il lunfardo dei bassifondi e il cocoliche (lo spagnolo storpiato dai tanos, gli immigrati italiani, che la traduzione ha scelto di restituire tramite un’allusione all’origine calabrese dei Godino), il linguaggio stilizzato dei medici, l’enfasi e la retorica della stampa e la prosa burocratica di giudici e poliziotti.


La scrittura dell’autrice sfugge a ogni classificazione, si spinge ben oltre le frontiere della cronaca, si fa beffe della tassonomia critica, disintegra i generi e ne mette in discussione la legittimità.


Oltre a ciò, Moreno, aggiunge brevi note in prosa e versi in cui si coglie un’eco di tanghi o di strofette da café chantant che precedono ogni capitolo e si rifanno al tumulto di una Buenos Aires immensa e tenebrosa. Accanto all’ironico e dolorosamente sarcastico narratore onnisciente che non manca di cedere a più di una tentazione metaletteraria e inserisce nel racconto documenti d’archivio, perizie mediche, articoli, interviste, allusioni a personaggi dell’epoca, la giornalista ne ha collocato un secondo, un poeta macabro dalla squisita immaginazione che dà spazio a travestiti, truffatori, ladruncoli, freaks, malati di mente, bambini sfiniti dal lavoro in fabbrica, sartine tisiche, bimbette arse vive dalla furia del Petiso e galeotti.


Le loro voci contribuiscono a definire l’immagine di una città infettata dal popolo degli immigrati, forza-lavoro indispensabile ma intrinsecamente minacciosa, la cui pericolosa diversità è riassunta e dilatata dalla figura estrema del Petiso: nuovi arrivati visti come portatori di delinquenza e degenerazione. La folla di comparse chiamate alla ribalta dall’irriverente “poeta macabro” porta con sé eloquenti fotogrammi della società argentina all’inizio del Novecento, e allo stesso tempo svolge la funzione di coro greco nella tragedia dell’Orejudo, “mostro” impenetrabile giudicato e condannato sulla base del positivismo lombrosiano, che in Argentina, come in tutta l’America Latina, ebbe enorme fortuna.


In questo testo-collage, l'autrice, fondendo il grottesco alle sfumature liriche, propone una storia di true crime lontana nel tempo e nello spazio riflette l'oscurità del nostro presente e che continua a interpellarci con forte intensità.


Un libro crudo che consiglio a tutti coloro che voglio conoscere una storia macabra del popolo argentino.


 

Alcune note su María Moreno

María Moreno è nata a Buenos Aires nel 1947, giornalista, scrittrice e critica culturale è considerata una delle più grandi croniste e saggiste in lingua spagnola, con una vasta produzione di testi dedicati al femminismo. Nel 1984 fonda Alfonsina, la prima rivista femminista dal ritorno della democrazia dopo la dittatura militare. Ha scritto, tra gli altri: El affair Skeffington, A tontas y a locas, Black out, Oración. Carta a Vicki y otras elegías políticas, Contramarcha e Subrayados. Ha vinto il Premio Iberoamericano de Narrativa Manuel Rojas, il Premio Lola Mora e il Premio Ñ. Ha ricevuto la borsa di studio Guggenheim per la ricerca su politica e sessualità nelle militanze degli anni Settanta.


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