top of page

RECENSIONE: Il ritratto del duca (Roger Michell)




Regista: Roger Michell

Interpreti: Jim Broadbent, Helen Mirren, Fionn Whitehead, Matthew Goode

Anno: 2020

Durata: 96 minuti

Genere: Commedia



 

Trama

Nel 1961, Kempton Bunton, un tassista di sessant'anni, rubò dalla National Gallery di Londra il Ritratto del Duca di Wellington di Francisco Goya. Kempton chiese un inconsueto riscatto: avrebbe restituito il dipinto solo se il governo si fosse impegnato di più a sostegno degli anziani, per i quali si era già battuto in precedenza. Solo dopo cinquant'anni la verità è venuta a galla e si è scoperto che il furto del "Duca" celava ben altra ragione: quella di salvare il matrimonio di Kempton.


Recensione

Nel 1961, Kempton Bunton (Jim Broadbent) ruba il ritratto del Duca di Wellington di Francisco Goya dalla National Gallery di Londra. Nella richiesta di riscatto il sessantenne tassista e Robin Hood di Newcastle afferma che avrebbe restituito il dipinto, appena acquistato all’asta dal Regno Unito per 140mila sterline, a condizione che il governo si impegnasse a favore degli anziani, in particolare garantendo a reduci e pensionati il diritto alla televisione gratuita, una sua vecchia battaglia.

La storia è vera, a darne un resoconto cinematografico è Roger Michell, regista sudafricano d’origine e inglese, celebre sopra tutto per Notting Hill. Dalla sua la sceneggiatura di ferro e un cast davvero formidabile: oltre a Broadbent, strepitoso e spassoso, Helen Mirren, cui tocca un perfetto contrappunto nei panni della moglie di Kempton Dorothy, nonché Fionn Whitehead e Matthew Goode.


Il registro è lieve, lo sguardo scanzonato, il mood canzonatorio, eppure questa pellicola mette in fila temi pesanti e pensanti, dalla discriminazione razziale al lutto familiare, dalla sperequazione sociale al bene comune, dalla tutela dei più deboli, quagli gli anziani, alla criminalità giovanile, senza elogiare il populismo bensì la collettività.


Un film riconciliante di buon umore che diffonde filantropia e umanesimo: mantiene quel che promette, e pure qualcosa in più, complici i tempi comici di Broadbent e Mirren, la cura nelle scenografie e i costumi, una regia che utilizza lo splitscreen come i mattoni di Bunton, nel senso dell’unione fa la forza. E l’umanità.


bottom of page