RECENSIONE: L'inizio è alla fine (David Redoschi)
- Dalla carta allo schermo

- 2 nov
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 4 nov


Autore: David Redoschi
Editore: Bookness, 2024
Pagine: 230
Genere: Narrativa italiana, Narrativa moderna e contemporanea
Prezzo: € 14.90 (cartaceo), € 6.99 (ebook)
Trama
La vita a volte arriva a un punto che sembra segnare la fine, ma in realtà può essere solo l'inizio di un nuovo capitolo. C'è sempre una scintilla che può accendere la consapevolezza di trovarsi su una strada diversa, ed è fondamentale riconoscere questo momento e lasciarsi guidare verso una nuova direzione, un nuovo inizio. Così, il protagonista, ormai avanti con gli anni, si trova a vivere un grande cambiamento nella sua vita, ma non lo affronta da solo: è guidato e sostenuto dall'amore e dalla tenerezza di una sorpresa che invade la sua anima: l'ingenuità e la spontaneità di un bambino, suo nipote. Questo romanzo rappresenta un manifesto al grande cambiamento che la vita può riservare. Un'opportunità per celebrare la bellezza del legame tra un nonno e suo nipote. Attraverso i loro occhi, scopriamo la magia di una connessione profonda e indissolubile. Una storia che celebra la forza trasformatrice dell'amore ricordandoci che la vita nasconde tesori inestimabili.
Recensione
Il libro che sto per recensire è uno di quei romanzi che non cercano di stupire, ma di accompagnare. La sua forza non sta nel colpo di scena o nell’intreccio complesso, ma nella capacità di raccontare la vita per quello che è: un susseguirsi di inciampi e rivelazioni, di finali che si travestono da inizi. Fin dal titolo, Redoschi sembra volerci avvertire che ogni chiusura, se guardata con occhi nuovi, può diventare una porta.
La storia ruota attorno a Pietro, un ex dirigente ormai in pensione che vive solo in una casa troppo grande, con i giorni scanditi da abitudini sempre uguali e un senso di sconfitta che gli si è cucito addosso. La moglie, Elena, è morta da tempo, e il rapporto con la figlia Marta è diventato un dialogo rarefatto, fatto più di silenzi che di parole. È in questo spazio vuoto che arriva Luca, il nipote di dieci anni, affidato temporaneamente al nonno per alcune settimane d’estate. L’incontro tra i due è, all’inizio, goffo e imbarazzato: Pietro non sa più parlare con un bambino, non sa più ridere, mentre Luca sembra vivere in un mondo tutto suo, fatto di domande e scoperte.
Una delle scene più intense è quella in cui Luca, durante una gita improvvisata al lago, chiede al nonno se “la vita finisce davvero o solo cambia forma”. È un momento semplice, ma che segna il punto di svolta del romanzo: da lì in poi Pietro comincia a guardare la propria esistenza con uno sguardo diverso. Non è una trasformazione improvvisa, ma un lento rimettersi in moto. Nelle pagine successive, lo vediamo riprendere in mano la vecchia macchina fotografica di Elena, riscoprendo la passione per le immagini che aveva abbandonato. Ogni scatto diventa una forma di dialogo silenzioso con la donna che ha amato e con la vita che, nonostante tutto, continua a chiamarlo.
Redoschi ha un talento raro: racconta i cambiamenti senza enfasi, come se fossero naturali conseguenze del semplice stare al mondo. Lo stile è limpido, privo di eccessi, con frasi che spesso si chiudono in riflessioni misurate. Anche nei momenti più emotivi – come quando Pietro ritrova una lettera di Elena mai letta, o quando accompagna Luca alla stazione alla fine dell’estate – l’autore evita ogni sentimentalismo, scegliendo invece la delicatezza del non detto. Il lettore non è trascinato nel pathos, ma invitato a sentire, a riconoscere in quelle pause il peso e la bellezza dell’esistenza.
Sul piano tematico, questo è un romanzo sulla rinascita interiore e sulla trasmissione invisibile tra generazioni. Luca insegna al nonno qualcosa che nemmeno sa di possedere: la curiosità, la capacità di vedere il mondo come se fosse nuovo. E Pietro, a sua volta, gli restituisce un senso di radice, di continuità. L’autore riesce a rendere questo scambio quasi sacro, senza mai spingerlo verso la retorica.
Ci sono passaggi che restano nella memoria, come quando Pietro osserva il tramonto dalla terrazza e pensa: “Forse non si comincia da zero, forse si comincia da dove si è finito, ma con occhi diversi”. In quella frase c’è l’intero spirito del libro: l’idea che ogni fine, anche dolorosa, contenga già la promessa di un nuovo inizio, se si ha il coraggio di guardarla con sincerità.
In definitiva, “L’inizio è alla fine” è un romanzo che parla sottovoce, ma che riesce a farsi ascoltare. È un invito a rallentare, a osservare le proprie ferite, a riconoscere che vivere non significa evitare la fine, ma accettarla come parte del cammino. Redoschi ci consegna una storia semplice e luminosa, dove la speranza non è mai gridata ma sussurrata, e proprio per questo risulta autentica.
Questo libro è consigliato a chi ama le storie intimiste e introspettive, a chi cerca una lettura che faccia riflettere senza appesantire, e a chi crede che la vita offra sempre, in un modo o nell’altro, un’occasione per ricominciare. È ideale per chi apprezza autori come Baricco, De Carlo o Mazzucco, dove le emozioni nascono dai dettagli quotidiani e non dai grandi eventi.
Alcune note su David Redoschi
David Redoschi, nato a San Paolo in Brasile da una famiglia di origine italiana, e romano d’adozione da tanti anni, porta nelle sue pagine l’esperienza di una vita piena e appassionata. Ha vissuto in diversi paesi del mondo, insieme alla sua famiglia, una vita straordinariamente ricca di esperienze. Ha avuto una brillante carriera da manager arrivando a posizioni di alto dirigente d’azienda ma ha sempre coltivato parallelamente la sua passione per le arti, in particolare la fotografia e la musica. Ora, ha finalmente dato voce alla sua anima letteraria, scrivendo il suo primo romanzo.



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