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Immagine del redattoreDalla carta allo schermo

RECENSIONE: Takara - La notte che ho nuotato (Damien Manivel)

Aggiornamento: 18 feb 2021



Voto: 3/5

Regista: Damien Manivel, Kohei Igarashi

Interpreti: Takara Kogawa, Keiki Kogawa, Chisato Kogawa, Takashi Kogawa

Anno: 2017

Durata: 79 minuti

Genere: Drammatico


 

Trama

il film diretto da Damien Manivel e Kohei Igarashi è l’avventura, tra piccole e grandi difficoltà, di un bambino che vuole ritrovare il suo papà tra le nevi di un Giappone inedito. Tra le montagne innevate del Giappone, ogni notte, un pescatore si reca al mercato del pesce del suo paese. Una notte, il suo figlioletto di 6 anni, Takara, viene svegliato dai suoi rumori, e non riesce proprio a rimettersi a dormire. Mentre il resto della famiglia dorme, il piccolo fa un disegno per quel papà che vede così poco, e lo mette nel suo zainetto. La mattina, ancora assonnato, perde la strada per la scuola: un’occasione per vivere una piccola avventura, e forse per consegnare quel disegno.


Recensione

Protagonista del film è un bambino giapponese insonne che una mattina, dopo aver passato la notte in piedi, decide di saltare la scuola e recarsi in città. Forse vuole far visita al padre che lavora al mercato del pesce (e che a causa dei turni di notte non vede mai) o forse, semplicemente, vuole osservare un po’ come vanno le cose dei grandi. Questo piccolo Buster Keaton buffo e silenzioso passa indenne tutti i possibili pericoli del mondo: attraversa la strada, cammina da solo, parlotta con gli sconosciuti. Fino a quanto per ripararsi da una tormenta di neve si rifugia in una macchina.

Il film segue la semplice avventura del protagonista con una messinscena al limite dell’arido e una semplicità narrativa elementare. La trama visiva è sottile e poco fantasiosa: la magia sta nella dissonante presenza del bambino nel mondo degli adulti, nei suoi pensieri tenuti nascosti e per questo incapaci di alterare la quotidianità della provincia giapponese.

Takara - La notte che ho nuotato (brutta traduzione dll'originale La nuit ou j’ai nagé) è così un interessante esempio di cinema impressionista costruito su uno sguardo interno al racconto, eppure stranamente oggettivo. Nelle sue immagini sonnolente si percepisce una tensione sottile, la possibilità di generare effetti comici o, all’opposto, tragici grazie alla presenza fuori luogo del bambino protagonista. La macchina da presa, però, sceglie di restare a distanza dall’emozione, nascondendosi dietro uno sguardo discreto e pudico, ma in fin dei conti facile e fin troppo reticente.


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