RECENSIONE: Perché ero ragazzo (Alaa Faraj)
- Dalla carta allo schermo
- 2 ott
- Tempo di lettura: 5 min


Autore: Alaa Faraj
Editore: Sellerio Editore Palermo, 2025
Pagine: 340
Genere: Biografie
Prezzo: € 17.00 (cartaceo), € 11.99 (ebook)
Acquista sito editore: https://www.sellerio.it/it/catalogo/Perche-Ero-Ragazzo/Faraj/16518
Trama
Nell'agosto del 2015 la Libia è un paese devastato dalla guerra civile, l'Italia dista 500 chilometri, circa un'ora di volo, Alaa ha appena 20 anni. È uno studente di ingegneria, una promessa del calcio libico, alle spalle una famiglia pronta a sostenerlo nel suo sogno: raggiungere l'Italia, un nuovo inizio, la speranza concreta di un futuro felice. Ottenere un visto, però, è impossibile, i canali umanitari non esistono, l'unica strada è salire a bordo di un barcone con due amici, anche loro calciatori. Durante quella maledetta traversata 49 persone muoiono soffocate dentro la stiva. I giornali parlano di «strage di ferragosto». Accusato di essere uno degli scafisti, Alaa afferma da anni la sua innocenza. Ha accettato il ruolo del detenuto, non accetterà mai quello del criminale. Ha scritto questo libro in prigione, in un italiano appreso dentro le celle, in una lingua naturalmente delicata, ironica, piena di stupore. Lo ha scritto lettera dopo lettera, inviandole ad Alessandra Sciurba, conosciuta in carcere durante un laboratorio, da anni la voce e il volto della battaglia di Alaa per la verità. "Perché ero ragazzo" è il racconto di un viaggio fatto di speranze e pericoli, l'indecenza delle morti per mare, l'arresto, la condanna, i primi 10 anni di carcere. Alaa Faraj ripercorre la sua storia con uno sguardo sbigottito e una paradossale fiducia nello Stato: le indagini forse frettolose, sulla base di poche testimonianze di persone sotto shock, la vita dietro le sbarre, la voglia di studiare, la felicità di certi incontri, la necessità di resistere, la paura e la frustrazione sempre in agguato. La sua battaglia per la libertà è diventata la battaglia di scrittori e artisti, attivisti come don Ciotti, giornalisti d'inchiesta, programmi Rai, Le Iene, quotidiani nazionali, un'attenzione che non accenna a scemare. Sono più di 3.000 le persone arrestate negli ultimi dieci anni in Italia come «scafisti» - nella sentenza dei giudici «l'ultima ruota di un mostruoso ingranaggio del traffico di vite umane» - ma è noto che i trafficanti, quelli veri, rimangono a casa senza rischiare, spesso agendo in continuità con le autorità del loro paese, e non solo.
Recensione
Ci sono romanzi che raccontano una storia, e altri che riescono a restituire un’intera stagione della vita, con i suoi chiaroscuri, i turbamenti e le scoperte improvvise. Questo libro appartiene senza dubbio alla seconda categoria. È un romanzo di formazione, ma non nel senso più tradizionale del termine: è un viaggio nella memoria personale e collettiva, uno sguardo retrospettivo che illumina la giovinezza con sincerità e profondità rara.
La voce narrante è quella di Faraj stesso, ormai adulto, che ripercorre gli anni cruciali della sua adolescenza trascorsa in un quartiere popolare di una grande città del Mediterraneo. Sin dalle prime pagine si percepisce che il racconto nasce da un’urgenza autentica: non c’è compiacimento nel ricordare, ma la necessità di mettere ordine nel groviglio di esperienze, emozioni e scelte che hanno segnato il passaggio dall’infanzia alla vita adulta.
Il romanzo si apre con un episodio chiave: il momento in cui Faraj, tredicenne curioso e inquieto, scopre per caso un vecchio quaderno appartenuto al padre, scomparso quando lui era ancora troppo piccolo per comprenderne davvero l’assenza. Quelle pagine piene di annotazioni confuse, schizzi e frasi enigmatiche diventano per lui un enigma personale da decifrare, ma soprattutto la porta d’ingresso verso un passato familiare che nessuno ha mai voluto spiegargli fino in fondo.
Da qui parte un percorso che non è lineare, ma frammentato in ricordi, incontri e scoperte: la figura della madre, forte e silenziosa, che cerca di tenere insieme la famiglia in un contesto difficile; l’amicizia con Yassin, compagno di scuola ribelle e sognatore, che lo spinge a mettere in discussione regole e convinzioni; la fascinazione per Layla, la ragazza del quartiere vicino, simbolo di libertà e allo stesso tempo di mistero; e ancora, il rapporto con il professore di letteratura, uno dei pochi adulti capaci di vedere davvero i ragazzi oltre le apparenze.
Faraj racconta tutto questo con uno sguardo che alterna la tenerezza e la crudeltà tipiche della memoria adolescenziale: non risparmia le proprie ingenuità, né le ingiustizie subite, ma riesce a dare dignità e spessore anche agli errori e ai silenzi. La sua crescita passa attraverso momenti chiave – una fuga improvvisata verso la costa, un litigio con la madre che segna una frattura profonda, una notte trascorsa in compagnia di persone incontrate per caso che gli aprono una prospettiva nuova sul mondo – che diventano tappe di un percorso interiore più che esteriore.
Uno dei temi centrali del romanzo è la ricerca dell’identità. Faraj si trova sospeso tra due mondi: da un lato, le tradizioni familiari e culturali che lo hanno formato; dall’altro, l’attrazione per una modernità incerta, spesso contraddittoria, che lo sfida e lo intimorisce allo stesso tempo. Questa tensione è raccontata senza retorica, ma con un realismo vivido, fatto di dettagli concreti e dialoghi essenziali.
La scrittura è uno degli elementi più affascinanti del libro. Faraj adotta un linguaggio limpido e musicale, che alterna momenti di introspezione poetica a passaggi narrativi molto visivi, quasi cinematografici. Sellerio, con la sua consueta eleganza editoriale, valorizza questa prosa con un’edizione curata e sobria, che accompagna il lettore senza distrarlo mai dal cuore della storia.
Il titolo, Perché ero ragazzo, diventa chiave interpretativa dell’intera opera. Non è solo una giustificazione per gli errori commessi, ma soprattutto un invito a comprendere quel periodo della vita in cui tutto è ancora in formazione: i sentimenti, le convinzioni, le relazioni, persino la percezione di sé. È come se l’autore ci dicesse che per capire davvero chi siamo diventati, dobbiamo avere il coraggio di tornare a guardare quel ragazzo che eravamo, con tutte le sue fragilità e la sua forza nascosta.
Nel panorama della narrativa contemporanea, spesso dominato da storie veloci e facilmente dimenticabili, questo libro si distingue per profondità e autenticità. Non cerca di stupire con artifici narrativi, ma conquista con la verità dei personaggi, con la precisione dei dettagli e con la capacità di evocare emozioni universali attraverso una vicenda personale. È un romanzo che si legge con piacere e che, una volta chiuso, continua a risuonare nella mente e nel cuore del lettore.
Consigliato a chi ama le storie di formazione intense e sincere, a chi cerca romanzi capaci di far riflettere senza mai diventare pesanti, ma anche a chi ha voglia di ritrovare nella letteratura quel momento fragile e potente in cui tutto nella vita sembrava possibile. È il libro ideale per lettori giovani che stanno vivendo quella fase di scoperta e per adulti che desiderano guardarsi indietro con uno sguardo nuovo. Perfetto per chi apprezza narrazioni introspettive e ambientazioni realistiche, e per chi non ha paura di lasciarsi coinvolgere emotivamente.
Alcune note su Alaa Faraj
Alaa Faraj è nato a Bengasi nel 1995. Ad agosto del 2025 ha trascorso il suo decimo anno di reclusione in carcere. La fine della pena è prevista per il 2045.
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