RECENSIONE: Entra il fantasma (Isabella Hammad)
- Dalla carta allo schermo

- 2 giorni fa
- Tempo di lettura: 4 min


Autore: Isabella Hammad
Traduttore: Maurizia Balmelli
Editore: Marsilio, 2025
Pagine: 416
Genere: Narrativa straniera, Narrativa moderna e contemporanea
Prezzo: € 21.00 (cartaceo), € 11.99 (ebook)
Acquista sito editore: https://www.marsilioeditori.it/libri/scheda-libro/2979185/entra-il-fantasma
Trama
Dopo anni di lontananza dalla terra della sua famiglia, con un divorzio alle spalle e una relazione tossica in corso, delusa dalle prospettive di carriera che le offrono il teatro e la televisione in Inghilterra, Sonia Nasir vola a Haifa per far visita alla sorella maggiore Haneen. Nate entrambe a Londra da genitori palestinesi, Haneen si è costruita una vita in Israele insegnando all’Università di Tel Aviv, mentre Sonia è sempre rimasta nella capitale inglese per concentrarsi sul suo lavoro di attrice. Appena arrivata, Sonia conosce Mariam, una carismatica regista locale, e – sia pur malvolentieri – si unisce alla sua compagnia, che interpreterà l’Amleto in Cisgiordania. Ben presto, la donna si ritrova a provare le battute di Gertrude e Ofelia con un collettivo pressoché amatoriale, tutto al maschile, ma anche a riflettere sulla difficoltà e l’importanza di portare Shakespeare “al di là del muro”, sperimentando sulla propria pelle le conseguenze dell’occupazione israeliana. Le estati della sua infanzia a Haifa, passate in spiaggia a leggere e a mangiare frutta troppo matura, sono un ricordo sbiadito. Ma tra le macerie, attraverso l’impegno condiviso per combattere la barbarie, Sonia scopre l’opportunità di trovare una nuova sé nella casa ancestrale dei propri avi.
Recensione
Con questo romanzo, Isabella Hammad racconta le tensioni tra storia personale e collettiva.
La protagonista, Sonia Nasir, è un’attrice palestinese cresciuta a Londra, reduce dal fallimento di un matrimonio e invischiata in una relazione sbagliata. Confusa, scossa, alla ricerca di un baricentro emotivo, decide di tornare a Haifa, dove la sorella maggiore Haneen vive e insegna. Questo ritorno non è semplicemente una fuga dalla vita londinese: è un lento, a tratti doloroso, rientro in un luogo che ha segnato la sua infanzia e che porta impresse tutte le contraddizioni del presente politico.
A Haifa Sonia incontra Mariam, regista che sta allestendo una versione di Amleto con una compagnia teatrale palestinese. Il teatro, in questo contesto, non è intrattenimento: è resistenza, affermazione identitaria, tentativo di recuperare uno spazio di libertà culturale in un ambiente che la concede a fatica. Coinvolta quasi per caso, Sonia finisce per interpretare Gertrude e Ofelia, e il testo shakespeariano diventa una lente attraverso cui leggere la propria vita. I rapporti spezzati, le delusioni sentimentali, la distanza dalla propria comunità e la consapevolezza politica trovano eco nella tragedia, creando un gioco di rimandi in cui realtà e finzione dialogano costantemente.
Hammad lavora con maestria sul parallelismo tra l’arte e l’esperienza quotidiana. La messinscena di Amleto in Palestina diventa un’impresa quasi impossibile, ostacolata da permessi negati, checkpoint, tensioni interne e paure individuali. Mentre la compagnia prova a “portare Shakespeare al di là del muro”, Sonia tenta di capire se esista un modo per riconciliarsi con le proprie radici senza esserne schiacciata. Le sue estati d’infanzia a Haifa riaffiorano a intermittenza: ricordi luminosi, ma segnati da un sottofondo di violenza e precarietà.
La forza del romanzo sta proprio qui: Hammad non separa mai il privato dal politico. L’identità di Sonia non può prescindere dal contesto storico e culturale che la circonda. L’autrice non cade nella retorica né nel didascalico: mostra le implicazioni emotive e concrete dell’occupazione attraverso dettagli quotidiani, relazioni familiari, sguardi, silenzi. Sono i corpi, i gesti, gli spostamenti a raccontare la realtà, più che i discorsi.
La prosa risulta elegante e lucida. Hammad scrive con una sensibilità quasi cinematografica: le scene sono vive, le emozioni raccontate con precisione, mai con sentimentalismo. Il ritmo è quieto, ma costante, e costruisce un crescendo emotivo che culmina nella consapevolezza a cui Sonia arriva attraverso il teatro: non si può fuggire per sempre dai propri fantasmi, ma li si può trasformare in voce, in gesto, in una forma di verità.
Entra il fantasma è un romanzo potente, che parla di appartenenza, perdita, arte e resilienza. Un libro che attraversa lo spazio sospeso tra vita e scena, tra passato e presente, tra Palestina e diaspora. E che, soprattutto, invita a riflettere su cosa significhi davvero “entrare” nel proprio fantasma, non per lasciarsi trascinare nel buio, ma per imparare finalmente a guardarlo.
Un’opera complessa, toccante, lucidissima consigliata a chi ama la narrativa densa e stratificata, capace di unire introspezione psicologica e profondità politica senza mai sacrificare la qualità della scrittura. È il libro ideale per i lettori che cercano storie di ritorni, di identità frammentate, di radici che continuano a reclamare spazio dentro di noi. Perfetto per chi apprezza romanzi ambientati nel contesto mediorientale contemporaneo, per chi ama le opere che intrecciano teatro e vita, e per chi desidera una lettura che non intrattiene soltanto, ma invita a pensare, a interrogarsi, a restare nelle sfumature. Un romanzo da consigliare a chi predilige la letteratura impegnata, emotivamente intensa, capace di lasciare un’eco lunga dopo l’ultima pagina.
Alcune note su Isabella Hammad
Isabella Hammad è una scrittrice di origini palestinesi nata a Londra. Tra le penne migliori della sua generazione per la prestigiosa rivista Granta e per il National Book Award, con Entra il fantasma , in corso di traduzione in oltre quindici paesi, libro dell’anno per il Times, il Sunday Times, il New York Times, il Washington Post e Vulture , ha vinto l’Aspen Words Literary Prize e il premio The Bridge, ed è stata finalista al Women’s Prize for Fiction. I suoi testi sono stati pubblicati, tra gli altri, dal New York Times e dalla Paris Review.



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