RECENSIONE: Tennis partner (Abraham Verghese)
- Dalla carta allo schermo

- 5 giorni fa
- Tempo di lettura: 4 min


Autore: Abraham Verghese
Traduttore: Luigi Maria Sponzilli
Editore: Neri Pozza, 2025
Pagine: 416
Genere: Narrativa straniera, Narrativa moderna e contemporanea
Prezzo: € 21.00 (cartaceo), € 9.99 (ebook)
Acquista sito editore: https://neripozza.it/libro/9788854530584
Trama
Il medico si è vestito elegante per il primo giorno del suo nuovo lavoro a El Paso, Texas. Una vita nuova lo aspetta in quella città tagliata in due dalla montagna, dove si è appena trasferito con la moglie e i figli ancora piccoli. In ospedale conoscerà i suoi specializzandi, sguardi ansiosi, camici candidi, stetoscopi scintillanti. Futuri medici a cui insegnare il fondamentale rito della rilevazione del polso, il mistero complesso della diagnosi, l’infinita responsabilità della cura. Ma in questo nuovo inizio, il dottor Abraham Verghese ripone la speranza di salvare il suo matrimonio, la speranza che le parole dette e le cose accadute possano essere dimenticate. David Smith ha tante cose da dimenticare, una carriera da tennista abbandonata, una tossicodipendenza annosa punteggiata di dure riabilitazioni e ricadute rovinose, gli studi di medicina da sorvegliato speciale. Una partita di tennis diventa il primo atto di un rituale che coinvolge lo studente e il suo insegnante, con i ruoli che si invertono come in un gioco di specchi. In campo, Abraham guarda a David con ammirazione e stupore, in corsia David ascolta Abraham con rispetto e devozione. Dalla passione per il tennis che li ha avvicinati, nasce un legame cauto ma profondo, in cui due uomini soli liberano le paure, espongono le ferite, trovano sostegno l’uno nell’altro. Ma come due bambini costruiscono un castello di sabbia ignari della marea che arriverà, quando la bestia crudele si risveglia dal suo sonno, tutto ciò in cui Abraham ha creduto e per cui ha lottato rischia di finire travolto. In queste pagine di tennis e di vita, l’autore de Il patto dell’acqua racconta, con la sobrietà e il nitore di sempre, i fallimenti, le speranze, le rinascite. L’eterna battaglia dell’uomo contro la solitudine.
Recensione
Ci sono libri che arrivano senza fare rumore, ma che aprono spiragli profondi dentro chi legge. Tennis Partner di Abraham Verghese è uno di quei memoir che sembrano quasi timidi nell’avvicinarsi al lettore, e invece custodiscono un’intensità rara, capace di lasciare segni sottili e duraturi.
Verghese, medico e scrittore noto per il suo sguardo umano e compassionevole, racconta un periodo particolare della sua vita trascorso a El Paso, nel Texas. È lì che incontra David Smith, giovane medico in formazione: brillante, carismatico e, allo stesso tempo, fragile fino a spezzarsi. David combatte contro una dipendenza che lo trascina in un’altalena di promesse, ricadute e tentativi di rinascita. E proprio in mezzo a questa precarietà nasce un’amicizia inattesa.
Il tennis, da cui il libro prende il titolo, non è solo un passatempo né un semplice pretesto narrativo. È un linguaggio comune, un terreno neutro dove entrambi possono togliersi le maschere. In campo, i ruoli sociali e professionali si azzerano: non c’è il medico affermato né il collega problematico, ci sono due uomini che provano, colpo dopo colpo, a restare in equilibrio. È qui che avviene il vero incontro, fatto di fiducia, frustrazione, complicità e vulnerabilità condivisa.
Con una prosa limpida, precisa e sorprendentemente intima, lo scrittore non edulcora nulla: né le proprie fragilità, né quelle dell’amico. Racconta la dedizione, la speranza e anche l’impotenza di chi cerca di trattenere qualcuno che scivola sempre un po’ più in profondità. La sua è una scrittura che non giudica, che non vuole spiegare né risolvere: osserva, accoglie, testimonia.
Ciò che colpisce maggiormente è la trasparenza emotiva dell’autore. Questo libro non è soltanto la storia della dipendenza di David: è anche il racconto di un uomo che rivede parti di sé nell’altro, che usa lo sport come forma di respiro e rifugio, e che prova a comprendere dove finiscono le responsabilità della cura e dove iniziano i confini dell’accettazione.
Il risultato è un memoir di straordinaria autenticità, capace di interrogare chi legge sul significato dell’aiuto, dell’amicizia e dei limiti umani. Un libro che ricorda quanto sia difficile e prezioso restare accanto a qualcuno che lotta contro i propri demoni, e quanto queste esperienze lascino tracce profonde, talvolta dolorose, ma sempre formative.
Si tratta di una lettura che consiglio a chi ama le storie vere che non cercano eroi, ma persone. A chi apprezza i memoir che si muovono sul filo sottile tra la vita professionale e quella privata. E a chi, almeno una volta, ha vissuto un legame così intenso da diventare specchio delle proprie ferite.
Un libro che si chiude con lentezza e si ricorda a lungo. Perfetto per chi ama la letteratura che cura, anche quando fa male.
Alcune note su Abraham Verghese
Abraham Verghese, dopo il diploma allo Iowa Writers’ Workshop, nel 1994, ha esordito con My Own Country, finalista al NBC Award. È scrittore, medico, docente e vicepresidente del Dipartimento di Medicina presso la Stanford School of Medicine. Ha ricevuto la National Humanities Medal, cinque lauree honoris causa ed è membro della National Academy of Medicine e dell’American Academy of Arts & Sciences. Presso Neri Pozza sono apparsi, con gran successo di pubblico e di critica, i romanzi Il patto dell’acqua (2023), scelto da Oprah Winfrey per il suo Bookclub, e La porta delle lacrime (2024). Il memoir Tennis Partner, uscito in America nel 1998, è stato un New York Times Notable Book.



Commenti